Cicerone: Ad Atticum - Liber V - Epistola II

LIBER V
[II] Scr. in Pompeiano vi Id. Mat a. 703
CICERO ATTICO SAL.

A. d. vi Idus Maias, cum has dabam litteras, ex Pompeiano proficiscebar ut eo die manerem in Trebulano apud Pontium . deinde cogitabam sine ulla mora iusta itinera facere. in Cumano cum essem, venit ad me, quod mihi pergratum fuit, noster Hortensius; cui deposcenti mea mandata cetera universe mandavi, illud proprie, ne pateretur quantum esset in ipso prorogari nobis provincias. in quo eum tu velim confirmes gratumque mihi fecisse dicas quod et venerit ad me et hoc mihi praetereaque si quid opus esset promiserit. confirmavi ad eam causam etiam Furnium nostrum quem ad annum tribunum pl. videbam fore.

[2] habuimus in Cumano quasi pusillam Romam. tanta erat in his locis multitudo; cum interim rufio noster, quod se a Vestorio observari videbat, strategemate hominem percussit; nam ad me non accessit. itane? cum Hortensius veniret et infirmus et tam longe et Hortensius, cum maxima praeterea multitudo, ille non venit? non, inquam.'non vidisti igitur hominem?' inquies. qui potui non videre cum per emporium Puteolanorum iter facerem? in quo illum agentem aliquid credo salutavi, post etiam iussi valere cum me exiens e sua villa numquid vellem rogasset. hunc hominem parum gratum quisquam putet aut non in eo ipso laudandum quod laudari non laborarit?

[3] sed redeo ad illud. noli putare mihi aliam consolationem esse huius ingentis molestiae nisi quod spero non longiorem annua fore. hoc me ita velle multi non credunt ex consuetudine aliorum; tu qui scis omnem diligentiam adhibebis tum scilicet cum id agi debebit, cum ex Epiro redieris. de re publica scribas ad me velim si quid erit quod +operare+. nondum enim satis huc erat adlatum quo modo Caesar ferret de auctoritate perscripta, eratque rumor de Transpadanis eos iussos iiii viros creare. quod si ita est, magnos motus timeo. sed aliquid ex Pompeio sciam.


Traduzione

LIBRO V
[II] Scritta a Pompei il 10 Maggio anno 703 (51 a.C)
CICERONE SALUTA ATTICO

Il giorno 10 Maggio, mentre spedivo queste lettere, partivo dall'agro di Pompei per rimanere nello stesso giorno nel territorio trebulano presso Ponzio e poi pensavo di riprendere senza alcun indugio dei viaggi dettati da opportune motivazioni. Essendo nel territorio di Cuma, venne da me, cosa che mi è stata molto gradita, il nostro Ortensio; a lui che lo chiedeva con insistenza ho consegnato tutti i miei ordini, soprattutto quello di non permettere, per quanto fosse in suo potere, di affidare a noi le province. In questo vorrei che tu lo confermassi e mi dicessi di avermi fatto cosa gradita perché è venuto da me e inoltre mi ha promesso ciò se ci fosse bisogno di qualche cosa. Per questa ragione ho confermato anche il nostro Furnio che pensavo sarebbe stato ancora per un anno come tribuno della plebe.

[2] abbiamo avuto nell'agro di Cuma quasi una piccola Roma, tanto era la moltitudine in quei luoghi; quando nel frattempo il nostro Rufio, poiché si vedeva oltraggiato da Vestorio, percosse un uomo con uno stratagemma; infatti non venne da me, perché? Mentre venne Ortensio ammalato e tanto diverso, mentre venne anche una grande moltitudine, perché egli non venne? No, dico, "pertanto non hai visto l'uomo?" Dirai, come ho potuto non vederlo mentre camminavo attraverso l'emporio a Pozzuoli? In lui credo di aver salutato colui che faceva qualche cosa, poi ancora ordinai di star bene; mentre uscivo dalla sua villa, avrei voluto che mi avesse chiesto qualcosa. Qualcuno ritiene quest'uomo poco gradito o forse non si preoccupa di trovare nello stesso qualche cosa che merita di essere lodato?

[3] Ma ritorno a ciò. Non pensare che io abbia altra consolazione di questa grande modestia se non che spero che non sarà più lunga di un anno. Molti non credono che io voglia così secondo la consuetudine degli altri; tu che sai adopererai ogni impegno quando si dovrà fare questo, ovvero quando ritornerai dall'Epiro. Vorrei che mi scrivessi riguardo la repubblica se vi sarà da fare qualcosa. Finora, infatti, non mi è stato riferito abbastanza in che modo Cesare si è comportato intorno all'autorità prescritta; difatti corre voce nei riguardi dei Transpadani che essi avevano ordinato di eleggere quegli uomini raccomandati, cosa che se è così temo grandi rivolte, ma qualcosa riuscirò a sapere dal territorio di Pompei.

Back