Introduzione


La tradizione gastronomica trebulana, come quella dei comuni limitrofi di Liberi, Formicola e Castel di Sasso, presenta caratteristiche riconducibili in larga parte a fattori legati al tenore di vita presente nel secolo scorso, prima dello sviluppo economico degli anni 60. L'economia era di pura sussistenza ed era concentrata sull'agricoltura, la pastorizia e le attività boschive. Era naturale, in un contesto simile, avere la necessità di lavorare i prodotti alimentari in modo tale da conservarli per l'intera annata e procurarsi, in tal modo, una scorta alimentare per l'intera famiglia che, nel periodo in esame, era abbastanza numerosa.
D'altronde, il fabbisogno energetico giornaliero, dopo una dura giornata di lavoro nei campi, era decisamente maggiore di oggi. In questo scenario trovava la massima espressione la lavorazione della carne di maiale, allevato presso ogni famiglia, che aveva come scopo ultimo la produzione di una serie di prodotti che oggi potremmo classificare come "alimenti pesanti". Ci si sta riferendo al guanciale usato per l'odierna amatriciana, allo zampone e al cotechino utilizzati con i fagioli cotti al tegame in terracotta, alle salsicce, al capocollo e al prosciutto, tutti quanti prodotti con tecniche artigianali locali.
E' da mettere in risalto che tutti questi alimenti subivano un processo di affumicatura che conferiva ad essi un sapore più ricco e una più lunga conservazione. Per quanto concerne la salsiccia, essa veniva conservata sotto sugna, in recipienti di terracotta. La sugna, arricchitasi del suo sapore, veniva usata come condimento o come companatico per il misero pasto frugale, durante il lavoro dei campi. Anche al lardo affumicato spettava un ruolo analogo a quello della sugna. Un altro prodotto tipico era la "noglia", ovvero una salsiccia fatta con carne di maiale, cotiche, aglio e foglie di lauro tritate.
L'uccisione del maiale veniva vissuta come un rito perché sanciva il momento in cui si realizzava la scorta alimentare per un nuovo anno; siffatto rito iniziava con la raccolta del sangue, impiegato per produrre i sanguinacci, fatti con riso, pinoli e uva passa, e consumati anche arrostiti alla brace. Gli ovini e caprini rivestivano anch'essi una componente essenziale per l'alimentazione, quasi esclusivamente per il consumo del latte e dei formaggi derivati. Ampio spazio trovava il consumo di cereali, verdure, ortaggi e frutta secca, specie la castagna, grazie alla presenza di castagneti secolari negli immediati dintorni di Treglia. Ovviamente i prodotti secchi rispettavano, come già accennato sopra, la necessità di lunga conservazione degli alimenti; tra essi annoveriamo i pomodorini, gli zucchini ed alcune erbe usate come insalate, tra cui spicca un tipo d'erba a pianta grassa con fiori gialli nota ai contadini come erba "vasciolella". Vale, altresì, la pena di citare la selvaggina che ha ricoperto anch'essa un ruolo non trascurabile, soprattutto in relazione alla lepre e al cinghiale.
Orbene, il tempo non ha scalfito le tradizioni culinarie tramandateci dai nostri nonni: esse rivivono tutti i giorni sulle nostre tavole e ci riportano a un tempo ormai lontano ma molto più vicino ai sapori genuini.