Le terme di Trebula
Il complesso termale di Trebula Balliensis venne alla luce
nel 1976, durante i lavori di apertura della strada che congiunge
la strada provinciale con località Le Campole; è ubicato alla
periferia nord della moderna cittadina di Treglia. Durante
i suddetti lavori, buona parte delle strutture fu demolita
in modo abusivo, col risultato che sotto il manto stradale
si trova sepolta una discreta porzione delle strutture termali.
E' a dir poco sorprendente che, a distanza di una trentina
d'anni, i risultati dello scavo e la relativa documentazione
risultano ancora inediti!
Le uniche informazioni riferentisi ad un'analisi scientifica
delle terme provengono da Claudio Calastri (vedi bibliografia)
che sta svolgendo un dottorato di ricerca sull'agro trebulano.
Fig. 1 - Planimetria dei resti dell'impianto termale ( disegni di Claudio Calastri)
Gli ambienti termali conservati (Foto A) occupano una superficie
di circa 150 mq. Osservando la planimetria in Fig. 1, si nota
subito un vano centrale rettangolare (denotato con la sigla
V1 e mostrato alla Foto B) a cui si affiancano a destra un
vano absidale (denotato con V2 e mostrato alla Foto C) e a
sinistra, due vani di cui uno rettangolare (denotato con V3
e mostrato alla Foto D) e un altro absidale (denotato con
V4 e mostrato alla Foto E). Il lato del vano rettangolare
denotato con A si conserva solo per brevi tratti; l'accesso
alla vasca V2 presenta un doppio gradino di accesso in cemento
su cui è possibile osservare resti di lastre di marmo bianco,
mentre il piano pavimentale originario risulta ostruito dal
terreno. Frammenti di marmo sono presenti anche lungo la parete
interna della vasca, a prova del fatto che essa doveva essere
rivestita interamente di marmo.
La parete C del vano rettangolare V1 presenta al centro un
varco di accesso largo circa 1,80 m. Anche su questa parete
si possono osservare pannelli di intonaco biancastro, a testimonianza
che il vano centrale doveva essere rivestito interamente,
come la vasca V2, di marmo bianco. La presenza, agli angoli
del muro C, di pilastri orientati verso l'interno del vano
rettangolare V1, lasciano presupporre la presenza di una copertura
a volta del vano stesso. La parete D rappresenta il lato più
lungo dell'ambiente a pianta rettangolare V3, lungo circa
5,5 m e largo circa 3,5 m, affiancato a sinistra da uno stretto
vano absidale (V4) originariamente rivestito a cupola, di
circa 5 mq.
Sotto il vano rettangolare V3 si trova l'ipocausto, ovvero
una intercapedine ricavata sotto il pavimento per il passaggio
dell'aria calda; il piano pavimentale è retto da pilastrini
che prendono il nome di pilae oppure suspensurae.
E' ovvio che l'ipocausto era collegato con un forno a legna
da cui si sprigionava aria calda. L'intercapedine ad ipocausto
è visibile anche al di sotto del pavimento del vano absidale
V4 ma non coinvolge l'ambiente rettangolare V1 perché è interrotta
dalle fondamenta della parete D. Le pareti laterali del vano
absidale V4 presentano ancora dei fori rettangolari per lo
sfiato dei vapori. A nord di tale vano, in corrispondenza
della scarpata che delimita l'area archeologica, è presente
la sezione muraria, denotata in figura con I che, dall'innesto
con la parete D, si estende in modo rettilineo per 6,5 m fino
ad intersecare un rudere murario ad essa ortogonale. Infine,
a sud della vasca V2, sul ciglio della strada moderna, si
conserva un troncone di muratura semicircolare (indicato con
L in pianta) alta circa 80 cm (Foto F). Le pessime condizioni
in cui versa non permettono di dare una corretta interpretazione
della sua funzionalità. E' importante osservare alcuni particolari
che mettono in evidenza diverse fasi temporali che coinvolgono
la costruzione delle terme trebulane. Infatti, il muro E ed
F presentano entrambi lo stesso spessore ma
tipologie diverse
di costruzione:
il primo è rivestito in opera vittata
di tufelli, mentre il secondo in opera vittata di tufelli
e laterizi. Inoltre si vede chiaramente che il muro F presentava
in origine un varco, successivamente tamponato da un pannello
in opera vittata. Tutte queste considerazioni portano a concludere
che il complesso termale giunto sino a noi sia
il risultato
della ristrutturazione di un edificio preesistente;
in
particolare, si riescono a individuare due diverse fasi edilizie,
sintetizzate molto semplicemente in Fig 2.
Fig. 2 - Le fasi edilizie del complesso in relazione alla planimetria:
in nero la prima fase, in grigio la successiva (disegni di Claudio Calastri)
Cerchiamo ora di assegnare una funzionalità a ciascuno dei vani conservati.A sinistra del grande vano centrale V1 c'è il complesso composto dai due vani V3 e V4 riscaldati mediante ipocausto sottopavimentale. Il vano rettangolare V3 è un caldarium di dimensioni modeste, affiancato da una vasca-alveus per le abluzioni in acqua calda e vapore. Il caldarium era di solito uno degli ambienti più spaziosi perché destinati ad accogliere un vasto pubblico, ma le modeste dimensioni del caldarium delle terme trebulane sembra contravvenire a questa consuetudine. Inoltre, la vasca-alveus era collocata di solito su uno dei lati corti del caldarium ma, nel caso delle terme trebulane, è collocata sul lato lungo meridionale. Questo può essere dovuto a esigenze strutturali nel corso della seconda fase edilizia oppure tale collocazione può aver rispettato un progetto che vede la vasca-alveus posta in modo simmetrico alla vasca V2 del vano centrale. L'accesso ai due vani del caldarium era possibile grazie al varco ricavato nella struttura G, il quale doveva comunicare con un'altra camera adiacente al caldarium che doveva svolgere funzioni di tepidarium. Il tepidarium si trova in buona parte coperto dal manto stradale della strada che conduce a Campole. Per quanto riguarda il grande vano centrale V1, esso non ha l'ipocausto sottopavimentale in quanto interrotto dalla parete D. Considerato che, come si è già detto, le sue pareti erano rivestite interamente di marmo bianco, esso doveva svolgere le funzioni tipiche di un frigidarium. Al frigidarium si poteva accedere attraverso due varchi, entrambi sui lati corti del grosso vano centrale: quello sul lato meridionale comunicava col tepidarium mentre quello settentrionale conduceva , molto verosimilmente, ad altri ambienti delle terme, forse i giardinetti o le piscine natatorie.
Fig. 3 - Ipotesi ricostruttiva della disposizione e della funzione degli ambienti. (disegni di Claudio Calastri)
Resta da inquadrare le terme in un preciso ambito cronologico.
In base alle tecniche edilizie impiegate, ovvero l'opera vittata
semplice e mista con ampio riutilizzo di materiale di risulta,
esse possono essere datate alla tarda età imperiale.
Più precisamente, si può tentare un confronto sulle tecniche
edilizie con il cosiddetto catabulum di S. M. Capua Vetere,
ovvero il battistero della basilica costantiniana. Il catabulum
risale all'epoca costantiniana in quanto risulta innalzato
interamente in opera vittata semplice e mista. In relazione
a questo parallelo, si può ipotizzare una datazione simile
anche per la prima fase dell'impianto termale di Trebula.
Per quanto riguarda la seconda fase, ovvero quella della ristrutturazione,
ci è di grande aiuto una epigrafe proveniente da Treglia,
databile al IV sec. d.C., ove viene menzionato un notabile
locale, Lucio Alfio Fannio, a cui i Trebulani dedicarono una
statua in riconoscenza delle varie opere da lui promosse,
tra cui il restauro delle terme costantiniane, logorate dal
tempo e dal lungo utilizzo.
A questo punto è utile fare una digressione sulla datazione
delle terme trebulane. Plinio, nell'opera Naturalis Historia(3,64),
facendo riferimento a Trebula usa l'espressione
"trebulani cognomine ballienses".
Plinio è vissuto dal 24 al 79 d.C.,
essendo morto a Pompei durante l'eruzione del Vesuvio che
seppellì Pompei ed Ercolano, e ciò sta ad indicare che in
tale periodo Trebula era già dotata di un complesso termale
di notevole spessore, tanto da meritarsi l'appellativo Balliensis.
La datazione al periodo costantiniano (330 d.C.) del complesso
termale di Trebula non è allora in contraddizione con quanto
scrive Plinio? La risposta è no. E' evidente che le terme
a cui fa riferimento Plinio non sono quelle venute alla luce
con gli scavi del 1976. Questo significa che le terme a cui
si riferisce Plinio si sarebbero potute trovare in un luogo
diverso da quello in cui oggi si possono ammirarne le vestigia
oppure che le terme costantiniane non siano altro che un rifacimento
ex novo delle precedenti terme di cui fa menzione Plinio.