LA GUERRA DI PIRRO
"Non sfuggivano la guerra e preferivano subire la conquista piuttosto che non tentare con ogni mezzo la vittoria" (Tito Livio, X, 31)
LA PRIMA GUERRA SANNITICA | |
LA SECONDA GUERRA SANNITICA | |
LA TERZA GUERRA SANNITICA | |
LA GUERRA DI PIRRO | |
LA SECONDA GUERRA ANNIBALICA | |
LA GUERRA SOCIALE E IL TRAMONTO DEI SANNITI |
LA GUERRA DI PIRRO
Cinque anni dopo che si era conclusa la terza guerra sannitica i Romani si trovarono impegnati col nemico a nord e a sud. A nord scesero in guerra con i Galli Senoni a cui si unirono anche alcune città etrusche. Le comunità italiote dell'estremo sud, la maggior parte delle quali era in declino, erano esposte alle pressioni crescenti dei Lucani e dei Bruzi. Taranto era l'unica città che avrebbe potuto offrir loro protezione ma esse non se ne fidavano temendo che potesse sfruttare a suo vantaggio la situazione. I soldati mercenari di cui Taranto si avvaleva era gente senza grossi scrupoli. Thurii chiese l'aiuto di Roma che, accettando la richiesta, alimentò il rischio di trovarsi in guerra con Lucani e Bruzi, nonché con Taranto. La politica di espansione verso sud era favorita e sostenuta a fondo da una fazione della nobiltà patrizio - plebea. Nel 284 a.C. Roma inviò grossi eserciti sia a nord che a sud; al comandante inviato al nord, Cecilio Metello, fu inflitta una disastrosa sconfitta nei pressi di Arretium da parte dei Galli Senoni.
Per i Sanniti, la notizia del rovescio di Arretium fu il segnale che quella era una buona occasione per vendicarsi. Essi scesero in campo contro Roma iniziando una guerra che durò ben sedici anni ( 284 - 272 a.C. ) e che avrebbe potuto chiamarsi quarta guerra sannitica. Il motivo per cui siffatto conflitto non ha assunto tale denominazione è da addebitare al fatto che ad esso presero parte non solo i Sanniti ma anche i Lucani, Bruzi, Messapi e Italioti. Le fonti letterarie che abbiamo a disposizione indicano che tutti i Sanniti presero parte al conflitto; Livio nomina in modo esplicito i Caudini e gli Irpini e, anche in assenza di un'esplicita menzione, è ragionevole pensare che anche i Carricini e i Pentri non siano rimasti fuori dal conflitto.
Taranto era la città greca più ricca dell'Italia meridionale e non vedeva di buon occhio l'espandersi della potenza romana.
Nel 303 a.C. Roma e Taranto avevano stipulato un trattato in base al quale Roma si impegnava a non navigare nelle acque del golfo di Taranto e del Mar Ionio. In seguito alle guerre sannitiche, Roma era diventata padrona della Lucania e la suddetta alleanza cominciava a starle stretta.
Nel 282 a.C, mentre i cittadini di Taranto stavano celebrando le feste di Dioniso, alcune navi da guerra romane attraversarono le acque territoriali tarantine, suscitando l'ira dei cittadini.
Questa fu la prima scintilla della guerra tra Roma e Taranto; quest'ultima poteva contare sull'appoggio dei popoli italici subordinati a Roma, tra cui Lucani, Bruzi e Sanniti.
Ma ciò che diede una grossa spinta a Taranto nella lotta contro Roma fu la figura di Pirro, il re dell'Epiro, una regione che corrispondeva pressappoco all'odierna Albania.
Pirro aveva concepito l'ambizioso piano di riunire sotto il suo regno l'Epiro e l'Italia meridionale fino al Volturno, la Sicilia e parte dell'Africa settentrionale dominata dai Cartaginesi. Su richiesta di Taranto, Pirro sbarcò in Italia nella primavera del 280 a.C. e affrontò l'esercito romano nella pianura di Eraclea, sulla costa della Lucania. Grazie alla sua abilità tattica e alla presenza degli elefanti (i Romani li vedevano per la prima volta e li chiamarono buoi lucani) Pirro sconfisse l'esercito avversario.
La vittoria di Pirro costò tuttavia molte vite umane al suo esercito: il numero dei soldati morti eguagliava quasi quello dei nemici (da qui deriva ancora oggi la frase "vittoria di Pirro", per designare il raggiungimento di un obiettivo a caro prezzo). A questo punto Pirro, con i suoi alleati Sanniti, Lucani e Bruzi avanzò verso nord a circa sessanta chilometri da Roma ma si rese conto che, nonostante le sue alleanze, non avrebbe potuto annientare la potenza romana. I Romani, d'altra parte, erano riusciti a formare un esercito di 40000 uomini che affrontò quello di Pirro ad Ascoli di Apulia. Anche questa volta Pirro uscì vittorioso dal confronto; rendendosi conto di poter vincere solo battaglie ma non la guerra definitiva, Pirro inviò a Roma il suo ministro Cinea per chiedere trattative di pace ma, contemporaneamente, Cartagine propose a Roma un'alleanza contro Pirro. In base a questa alleanza, Roma avrebbe dovuto agire nell'Italia meridionale mentre Cartagine doveva tenere sotto controllo la Sicilia ove i Cartaginesi erano riusciti a conquistare gran parte delle città tra cui Siracusa, approfittando della morte del tiranno di Siracusa Agatocle. Roma accettò l'alleanza con Cartagine e Pirro, lasciato un esercito a presidiare Taranto, si diresse in Sicilia ove riuscì a liberare Siracusa dall'assedio cartaginese.
Egli avrebbe voluto continuare le operazioni in Sicilia ma le avversità delle città dell'isola glielo impedirono. Allora Pirro ritornò in Italia meridionale ove affrontò l'esercito romano a Malventum. Qui l'esercito epirota fu sconfitto e i Romani, in ricordo del lieto evento, mutarano il nome della città da Malventum a Beneventum.
Con la stessa metodicità impiegata nelle fasi conclusive della terza guerra sannitica, i Romani annientarono le tribù sannite, una dopo l'altra. Il conflitto fu portato a termine dagli stessi generali che avevano risolto il terzo conflitto, ovvero Papirio Cursore e Carvilio Massimo. Se nel passato i Romani si erano prefissati come obiettivo quello di accerchiare i Sanniti, ora il loro scopo andava oltre e mirava allo smembramento politico del Sannio.
Gli Irpini dovettero abbandonare un'ampia fascia di terra che si estendeva dalla Campania all'Apulia, finendo per essere così geograficamente separati dai Pentri. Da allora gli Irpini persero il loro antico nome di "Sanniti" a favore del loro specifico nome tribale, ovvero Irpini.
La tribù dei Caudini, di cui Trebula faceva parte, subì a sua volta una totale disintegrazione: Telesia, Caiatia, Cubulteria e Trebula divennero nominalmente stati indipendenti(civitas foederate), ovvero furono costrette a stringere singoli trattati di alleanza con Roma.
Caiatia, Cubulteria e Telesia emisero monete di bronzo; il fatto che esse fossero simili a monete coniate ad Aquinum, Venafrum, Teanum Sidicinum, Cales e Suessa Aurunca indica chiaramente che le città sannite furono incoraggiate o costrette ad abbandonare il Sannio e formare una lega monetaria con le confinanti comunità dell'Italia occidentale.
I Caudini, alla pari degli Irpini, persero la loro denominazione di Sanniti ma, a differenza degli Irpini, non furono nemmeno più designati col loro nome tribale; ogni comunità prese il nome della sua città: Caiatini erano, ad esempio, gli abitanti di Caiatia, Cubulterini quelli di Cubulteria, Trebulani quelli di Trebula.
I Pentri furono costretti a cedere dei territori lungo il confine occidentale della loro regione. Non sappiamo la sorte che toccò ai Carecini ma è probabile che il loro stato fu soppresso. Quando, più tardi, Augusto divise l'Italia in regioni, soltanto i Pentri furono ammessi alla IV Regione che prese ufficialmente il nome di "Sannio". I Caudini furono ammessi alla Regione I di "Lazio e Campania", mentre gli Irpini presero a far parte della Regione II denominata "Apulia".
Oltre al drastico riassetto politico del Sannio, come ulteriore misura precauzionale contro una possibile ripresa delle ostilità da parte dei Sanniti, i Romani dovettero probabilmente costringerli a smantellare le loro fortificazioni in varie parti del Sannio e a trasferire alcune delle loro posizioni elevate più verso zone pianneggianti. Forse non tutti i trasferimenti dei centri fortificati furono imposti con la forza ma, alcuni di essi, dovettero avere un decorso naturale. Questo significa che la fine del conflitto tra Romani e Sanniti avrebbe reso le condizioni di vita più sicure.
Da questo momento in poi i Sanniti potevano rimpiangere la loro libertà perduta. Come gli altri popoli italici, essi dovettero rimanere umiliati e sottomessi fino ai giorni della guerra sociale.