LA GUERRA SOCIALE E IL TRAMONTO DEI SANNITI

"Non sfuggivano la guerra e preferivano subire la conquista piuttosto che non tentare con ogni mezzo la vittoria" (Tito Livio, X, 31)

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LA GUERRA SOCIALE E IL TRAMONTO DEI SANNITI

Verso la fine del 212 a.C. Capua fu riconquistata dai Romani e questo episodio segnò il dominio di Roma in Italia. Gli alleati Italici avevano il compito di fornirle truppe da impiegare in qualsiasi operazione che essa potesse ritenere opportuno intraprendere. Le truppe alleate venivano inoltre impiegate nelle operazioni più difficili e pericolose. Un soldato alleato che si fosse contraddistinto durante le imprese militari non poteva aspirare ad intraprendere una carriera politica, diversamente da quanto accadeva ad un soldato romano. I Romani attuarono trasferimenti forzati di alcune popolazioni da una parte all'altra dell'Italia; per esempio, nel 280 a.C., alcune comunità liguri furono trasferite nel Sannio. Questa politica fu adottata non solo per accelerare il processo di romanizzazione dei popoli sottomessi, ma anche per eliminare focolai di sentimenti antiromani. In realtà ci furono anche molti movimenti migratori volontari di popoli italici che si spostavano verso zone più ricche, soprattutto verso Roma che offriva maggiori opportunità di lavoro.
Per avere un'idea dei movimenti migratori, basti pensare che, quando i coloni di Fregellae (Ceprano) emigrarono in massa verso Roma, il loro posto fu preso dai Peligni e dai Sanniti, che iniziavano così ad abbandonare il loro territorio di scarse risorse. Le migrazioni, la costruzione di varie strade e i matrimoni tra Romani e Italici favorirono senza dubbio il processo di romanizzazione. L'influenza romana dovette farsi sentire soprattutto nella religione e nella lingua: un'iscrizione lucana risalente all'incirca al 100 a.C. è scritta in osco ma presenta già diversi latinismi. Prima di tale data, certamente i Sanniti, come tutti i popoli di lingua osca, non avevano abbandonato l'osco per il latino; anzi, il Sannio interno, per la sua conformazione geografica, fu la regione ove più si conservò la lingua osca. Trebula Balliensis, essendo ubicata sul confine della Campania settentrionale, dovette assorbire in misura maggiore la cultura romana. I flussi migratori summenzionati non erano limitati alla sola Italia ma erano diretti anche alle province romane ove molti commercianti di lingua osca e latina riuscirono ad arricchirsi. Le sontuose case del Fauno, di Pansa e di Sallustio a Pompei, molto probabilmente, appartenevano a commercianti arricchitisi nelle province.
Appare dunque evidente che, tra gli alleati, la piccola nobiltà trasse ottimi benefici dalla dominazione romana. E' da aggiungere che molte famiglie osche diventavano clientes di importanti famiglie romana, ottenendone in cambio favori. Il benessere di questa classe sociale fu uno dei due fattori che fece da freno a probabili insurrezioni degli Italici contro Roma. Questo significa che, finché stavano bene, gli aristocratici non erano disposti a fornire un capo a un movimento insurrezionale. L'altro fattore che fece da freno fu la politica "divide et impera" seguita da Roma. Ovvero, le varie comunità italiche erano legate a Roma da singoli trattati di alleanza: appena una comunità si ribellava, Roma poteva invocare l'aiuto degli altri alleati e, secondo i termini dei loro trattati, essi erano costretti ad accordarglielo. Cosa fece precipitare la situazione al punto tale da indurre gli Italici a ribellarsi? Il senato romano decideva con freddezza e arroganza tutto ciò che dovesse essere importato o esportato dall'Italia o dalle province.
Fu dunque l'indifferenza di Roma al benessere economico degli alleati a provocare la rottura definitiva; nel 133 a.C. la riforma di Tiberio Gracco conferiva allo stato romano il potere di riprendersi le terre di dominio pubblico eccedenti e di distribuirle ai piccoli proprietari terrieri romani. Molti degli alleati si videro confiscare terreni fino ad allora in loro possesso, senza la possibilità di chiedere la ridistribuzione, dal momento che non possedevano la cittadinanza romana. Fu questo episodio a generare un primo malcontento tra i ceti elevati dei popoli italici. La situazione precipitò verso il 90 a.C., quando ci furono pressanti richieste di truppe italiche per le operazioni contro il principe dei Numidi Giugurta, i Cimbri e i Teutoni. Gli alleati contribuivano in misura considerevole alle vittorie romane in queste guerre, ma furono ricompensati facendo loro capire che avrebbero dovuto restare cittadini di seconda classe e non diventare cittadini romani. Si badi che, non solo i nobili e i capitalisti rifiutavano la cittadinanza agli Italici, timorosi di trovare in loro dei rivali con cui spartire i privilegi di cui godevano, ma anche il popolo più basso della capitale si dimostrava a loro avverso. I ceti elevati dei socii, tra cui erano anche le gentes sannite, capirono che l'unico modo di stabilire un più paritetico rapporto coi Romani era quello di chiedere la cittadinanza, che fu sempre loro negata.
Queste forze centrifughe portarono, nel 90 a.C., allo scoppio della guerra sociale. Il termine sociale è da intendersi come guerra che gli alleati di Roma conducono nei confronti di quest'ultima per ottenere un rapporto più paritetico. Ovviamente, tra i popoli insorti contro Roma, non poterono mancare i Sanniti, animati da un mai assopito sentimento patriottico e antiromano. I Romani, dopo aver subito varie sconfitte, furono costretti a concedere la cittadinanza agli alleati. Tra gli illustri combattenti di parte romana nel bellum sociale si possono annoverare Cicerone e Pompeo, entrambi militanti nell'esercito di Strabone. Fu in seguito alla guerra sociale che, molto probabilmente, Trebula divenne un municipium romano governato da quattuorviri. Nell'89 d.C. Mitridate VI, re del Ponto, invase la provincia romana d'Asia massacrando, del resto, moltissimi Italici ivi residenti. Lucio Cornelio Silla, acerrimo nemico dei Sanniti, fu designato come comandante dell'esercito che avrebbe dovuto fronteggiare Mitridate in Oriente. I Sanniti ripresero però le armi nell'83 a.C., anno in cui Silla ritornò in Italia dall'Oriente ove era stato a combattere vittoriosamente contro Mitridate VI Eupatore, ovvero il re che era riuscito a far ribellare a Roma la provincia d'Asia.
Silla, al suo ritorno in Italia, doveva riconquistare l'opinione pubblica e sfruttò, a tale scopo, lo spauracchio sannita: i Sanniti erano i nemici tradizionali di Roma e lui, Silla, si elevò a paladino che avrebbe risollevato Roma e i Romani dall'eterna minaccia dei Sanniti. L'avversario di Silla era Caio Mario; questi aveva diretto la guerra contro Giugurta e Silla aveva combattuto come legato al suo fianco. Silla e Mario erano entrati in conflitto in quanto il primo appoggiava gli aristocratici mentre il secondo conduceva una politica di parte popolare. Ricordiamo, infatti, che Mario fu autore di una importante riforma dell'esercito che prevedeva l'arruolamento di persone di qualsiasi ceto sociale. In tal modo, una persona con difficoltà economiche trovava nell'esercito una fonte di guadagno. I Sanniti si schierarono a fianco dei mariani (sostenitori di Caio Mario), ben consapevoli che Silla era avverso alla loro causa, ma furono sconfitti dalle truppe di Silla a Porta Collina, nelle vicinanze di Roma. Silla punì i suoi avversari con le proscrizioni; coloro che venivano proscritti perdevano ogni diritto civile; chiunque poteva ucciderli e impadronirsi dei loro beni ed era passibile della pena di morte chiunque desse loro ospitalità. In realtà, molte persone vennero uccise a causa di inimicizie private, che non avevano nulla a che fare con Silla, ed egli lo permise per compiacere i suoi fautori. I Sanniti e gli Etruschi ebbero un elevato numero di proscritti e le terre ad essi confiscate vennero distribuite a più di 120.000 soldati di Silla. A chi gli rimproverava di essersi spinto troppo oltre nelle punizioni, Silla rispondeva che dall'esperienza aveva appreso che mai uno solo dei Romani avrebbe potuto vivere in pace fino a che i Sanniti avessero costituito una comunità a sé. In realtà, i Sanniti scamparono al genocidio, ma da allora la loro storia confluì in quella di Roma e si identificò con essa. Le confische sillane non fecero altro che continuare un processo iniziato secoli prima di modo che, nel I secolo a.C., la geografia del Sannio era profondamente mutata. La crescente diffusione di municipia romani, l'emigrazione dei Sanniti verso zone che offrivano più confortevoli condizioni di vita e l'insediamento, per volere di Augusto, di suoi veterani nel territorio tra Beneventum e Venusia, contribuì a rafforzare l'elemento non osco in territorio sannita.
Ciò nonostante, almeno nei distretti più remoti, la lingua osca riuscì a conservarsi, anche se maggiormente sottoforma di dialetto contadino. Difatti, ad esclusione del greco, essa fu l'ultima lingua non latina d'Italia a scomparire; anche in una comunità così romanizzata come Pompei, l'osco non era ancora completamente scomparso nel 79 d.C., anno in cui la città fu inghiottita dall'eruzione del Vesuvio. E' ragionevole assumere che, come oggi un napoletano è anzitutto un italiano, a prescindere da ogni possibile ricordo o memoria storica del Regno delle due Sicilie, così un sannita del I o II secolo d.C. doveva essere più cosciente di essere un cittadino di Roma che uno del Sannio.