LA TERZA GUERRA SANNITICA
"Non sfuggivano la guerra e preferivano subire la conquista piuttosto che non tentare con ogni mezzo la vittoria" (Tito Livio, X, 31)
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LA TERZA GUERRA SANNITICA (298 - 290 a.C)
La terza guerra sannitica si delineò all'orizzonte quando
ciascuno dei due contendenti cercò di alimentare le proprie
alleanze per imporre il predominio.
I Sanniti miravano a procurarsi
alleanze al nord con gli Etruschi e i Galli Senoni in quanto
questo avrebbe costretto i Romani a frazionare la proprie
forze, in caso di un eventuale conflitto. I Romani cercavano
ovviamente di impedire che i Sanniti stringessero queste alleanze
attraverso il controllo del territorio dell'Italia centrale.
Fu in quest'ottica che nel 303 a.C. sottomisero il popolo
degli Equi, accusato di essersi schierato a favore dei Sanniti
nella seconda guerra sannitica. La loro città principale,
Trebula Suffenas, fu espugnata da Caio Giunio Bubulco e fu
annessa a Roma come civitas sine suffragio, ovvero senza diritto di voto. Diversi studiosi (cfr. Michele Fusco, G.Pendolino) hanno erroneamente attribuito a Trebula Balliensis il conferimento della cittadinanza romana nel 303 a.C. Inoltre i Romani
strinsero alleanze con i popoli dei Marsi, Peligni, Marrucini
e Frentani e stanziarono in Umbria una colonia latina.
Ovviamente
i loro interessi si rivolgevano anche all'Italia meridionale
ove potevano procurarsi alleanze, minacciando alle spalle
i Sanniti. Infatti essi appoggiarono i Lucani che erano in
guerra con il popolo di Taranto. Secondo Livio,
nel 299 i
Sanniti, approfittando della momentanea debolezza militare
lucana, assalirono i Lucani
i quali chiesero immediatamente
la protezione di Roma. La terza guerra sannitica iniziò in
questo modo; essa avrebbe rappresentato un grosso rischio
per Roma in quanto i Sanniti, Galli ed Etruschi si sarebbero
potuti alleare, attirando dalla loro parte anche Umbri e Sabini.
Però l'esperienza aveva dimostrato ai Romani che solo i Sanniti
e i Galli avrebbero potuto costituire una seria minaccia.
Essi erano però separati da una grossa fetta dell'Italia centrale
controllata dai Romani. La documentazione pervenutaci sulla
terza guerra sannitica è frammentaria e piuttosto confusa.
Risulta difficile ricostruire con precisione gli eventi e
i luoghi precisi in cui essi si svolsero. Si può dire che
molto probabilmente fu adottato lo stesso schema strategico
della seconda guerra sannitica:
i Sanniti sfruttarono le loro
linee interne, mentre i Romani svilupparono i loro attacchi
su due fronti,
dall'Apulia ad est e dal medio Liri e dalle
regioni della Campania settentrionale ad ovest. Nei primi
due anni del conflitto non si ebbero azioni di rilievo ma
piuttosto di contenimento. I Sanniti cercarono di congiungersi
agli alleati del nord mentre i Romani ostacolavano questo
piano spianando le loro forze nell'Italia centrale. L'assenza
di uno scontro risolutivo fece crescere il malcontento fra
i Romani. Fu per questo che a Roma Appio Claudio Cieco esercitava
pressioni affinché si tornasse al vecchio sistema di eleggere
due consoli patrizi, nella speranza di conseguire risultati
più rapidi e tangibili. I consoli patrizi non furono eletti
ma fu deciso di sferrare un attacco su più posizioni.
Appio
Claudio si recò col suo esercito in Etruria Meridionale per
esercitare azioni di contenimento. Altri eserciti svolgevano
le operazioni nella valle del Liri, nella Campania settentrionale
e in Apulia. Nel 296 a.C. i Sanniti si prepararono ad affrontare
lo scontro nel migliore dei modi. Il loro condottiero,
Gellio
Egnazio
, riuscì a superare l'accerchiamento romano e a congiungersi
con Etruschi, Galli e Umbri. Egli concepì l'ardito piano di
sferrare assieme ad essi un attacco che sarebbe potuto essere
fatale per i Romani. Il successo di Egnazio gettò Roma in
preda al panico tanto che furono richiamate truppe dalla Campania
settentrionale per prestare soccorso ad Appio Claudio in Etruria.
A questo punto un esercito sannita, capeggiato da
Minazio
Staio
, composto principalmente da soldati trebulani, approfittando
del panico creatosi, si riversò nella Campania settentrionale
occupando i territori falerni ed aurunci. La situazione fu
ricondotta però alla normalità da Fabio Rulliano che riuscì
a respingere gli invasori trebulani. Nel 295 a.C. gli eserciti
si affrontarono a Sentinum (vicino Sassoferrato) ove l'esercito
composto dai Sanniti e dai Galli Senoni fu sconfitto; è da
notare che alla battaglia non parteciparono né gli Etruschi,
né gli Umbri.
Il motivo di tale mancanza non ci è noto ma,
di certo, si può affermare che, se essi avessero partecipato
alla battaglia, le cose avrebbero sicuramente avuto un altro
corso. A sud i Sanniti riuscirono a sfondare il fronte e ad
arrivare a Formia, ove vennero fermati dal pretore Appio Claudio
Cieco. In seguito alla sconfitta di Sentinum ci fu l'assoggettamento
degli Etruschi e degli Umbri. Non potendo più contare sulle
forze degli alleati, i Sanniti capirono di dover preparare
con le proprie forze un ultimo e disperato tentativo nel 293
a.C. Mobilitarono pertanto tutti gli uomini a loro disposizione
equipaggiando un corpo speciale denominato legione linteata.
La lotta si svolse su due fronti: il console Spurio Carvilio
Massimo, dalla valle del Liri, attraversò Casinum, espugnò
la città sannita di Amiternum e si fermò infine a Cominium.
Il suo collega, Patrizio Cursore, mosse dalla Campania settentrionale
e si diresse a nord del massiccio del Matese, probabilmente
attraversando il territorio di Rufrae e di Venafrum. Livio
afferma che Cursore espugnò Duronia (una località menzionata
solo in tale contesto) e si fermò ad Aquilonia. La legio linteata
oppose una strenua resistenza alle truppe di Patrizio Cursore
ma, alla fine fu costretta a capitolare. Analogo successo
riportarono gli uomini di Carvilio Massimo che si impossessarono
di Cominium. La conquista di Aquilonia significò aver aperto
un varco nella vallata dei Pentri.
Infatti i Romani espugnarono
la città di Saepinum e conquistarono altre località limitrofe,
in territorio molisano. I monti trebulani costituivano un
punto di passaggio delle forze sannite che attaccavano con
insistenza gli Aurunci. Difatti, Patrizio Cursore dovette
intervenire nella Campania settentrionale in difesa proprio
degli Aurunci. I Sanniti avevano ormai perso buona parte delle
loro forze militari: nel 292 a.C. l'esercito di Fabio Gurgite
si scontrò con quello dei Caudini capeggiato da Gavio Ponzio.
Dopo non poche difficoltà, l'esercito sannita fu sconfitto;
Gavio Ponzio, condotto a Roma, venne decapitato dopo che Gurgite
ebbe celebrato il trionfo. Nel 291 a.C. furono sottomessi
i Pentri e gli Irpini; la guerra si concluse nel 290 a.C.
ma i termini del trattato non ci sono noti. Comunque, non
si può pensare che essi siano stati uguali a quelli degli
altri trattati.
Il territorio del Sannio era stato indubbiamente
ridotto
e buona parte delle terre che gli erano state sottratte
erano tra le più fertili. Un'ampia area a sud dell'Ofanto
fu destinata alla colonia latina di Venusia. Questo deve essere
stato il momento in cui la valle dell'alto e medio Volturno
sostituì il Liri quale linea di confine tra lo stato romano
e quello sannita. In altre parole, i Sanniti persero Cominium,
Atina, Aquilonia, Casinum Venafrum e Rufrae. A quanto ne sappiamo,
il resto del Sannio rimase intatto. Trebula, Caiatia e Cubulteria
rimasero città sannite; diventando alleati di Roma, i Sanniti
avevano l'obbligo di accettarne le decisioni per quanto riguarda
la politica estera, di fornirle truppe e di astenersi da atti
di aggressione nei confronti dei vicini.